Venti di quasar nell' Universo primordiale
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- Giovedì, 12 Maggio 2022 14:06
Uno studio guidato da Manuela Bischetti, Chiara Feruglio e Valentina D'Odorico dell' INAF Osservatorio Astronomico di Trieste, ha misurato per la prima volta la frazione di venti generati dai buchi neri supermassicci al centro delle galassie nell’Universo primordiale, svelando che all’epoca questi venti erano molto più frequenti e potenti rispetto a quelli osservati nelle galassie a noi vicine. Questo potrebbe spiegare il meccanismo che ha frenato la crescita dei buchi neri supermassicci nel corso della storia del cosmo. I risultati di questo studio sono stati pubblicati sulla rivista Nature.
Il lavoro è basato sulle osservazioni di 30 quasar – sorgenti puntiformi dalla luminosità molto elevata, al centro di galassie lontanissime, la cui emissione deriva dall’attività intensa dei loro buchi neri supermassicci centrali che risucchiano la materia circostante – ottenute con il Very Large Telescope (VLT) presso l’Osservatorio di Paranal dell’ESO in Cile. Le galassie che ospitano questi quasar sono state osservate all’alba del cosmo, quando l’Universo aveva tra 500 milioni e un miliardo di anni di età.
“Abbiamo misurato per la prima volta la frazione di quasar nell'Universo giovane che esibiscono venti generati dai buchi neri”, afferma Manuela Bischetti, ricercatrice INAF a Trieste e prima autrice del nuovo studio. “A differenza di quanto si osserva nell'Universo più vicino a noi, abbiamo scoperto che i venti prodotti dai buchi neri nell'Universo giovane sono molto frequenti, hanno grandi velocità, fino al 17% della velocità della luce, ed immettono grandi quantità di energia nella galassia che li ospita”.
Circa la metà dei quasar osservati in questa ricerca mostra la presenza di venti da buchi neri, che risultano dunque molto più frequenti rispetto a quelli noti nei quasar più vicini a noi (quando l’Universo aveva ~4 miliardi di anni di età), oltre ad essere oltre 20 volte più potenti. L’energia iniettata dai venti sarebbe dunque in grado di arrestare l'accrescimento di nuova materia sul buco nero, rallentandone la crescita e dando inizio ad una fase di ‘evoluzione comune’ tra il buco nero e la sua galassia ospite.
La scoperta, del tutto inaspettata, è stata possibile grazie ai dati di alta qualità forniti dallo strumento X-shooter montato sul VLT, nell’ambito di un grande programma ESO per un totale di circa 250 ore di osservazione.
“I quasar osservati sono tra gli oggetti più luminosi osservabili nell’Universo primordiale, ma a causa della loro distanza sono piuttosto deboli in termini di magnitudine osservata”, spiega la coautrice Valentina D’Odorico dell’INAF di Trieste, principal investigator del programma osservativo su cui si basa lo studio. “Il grande investimento di tempo dedicato all’osservazione di questi oggetti e le capacità uniche di X-shooter in termini di efficienza, intervallo di lunghezza d'onda coperto e potere risolutivo ci hanno permesso di ottenere spettri di ottima qualità che hanno consentito questo interessante risultato”.
L’articolo “Suppression of black-hole growth by strong outflows at redshifts 5.8-6.6”, di Bischetti M., Feruglio C., D’Odorico V., et al., Nature 605-244-247 https://www.nature.com/articles/s41586-022-04608-1

Le ricercatrici Valentina D’Odorico (sinistra), Manuela Bischetti (centro) e Chiara Feruglio (destra). Crediti: Inaf